domingo, marzo 17, 2019

“L’infinito” leopardiano, summa poetica del Romanticismo italiano


L’infinito” leopardiano, summa poetica del Romanticismo italiano
di Grazia Fresu


Giacomo Leopardi. Retrato de Domenico Morelli

Giacomo Leopardi, considerato il più grande poeta romantico italiano, porta le caratteristice specifiche del Romanticismo peninsulare al livello più alto, non solo della poesia ma della riflessione filosofica nell’ambito della poesía. Quest’anno ricorrono i duecento anni dalla scrittura de L’Infinito, il suo Idillio più famoso, dove la sua ispirazione raggiunge risultati d’ insuperabile bellezza.
Il Romanticismo si confronta con l’universo finito della nostra realtà quotidiana ma aspira a superarlo, in una costante tensione verso l’infinito.
Giacomo Leopardi pone il concetto di infinito al centro del suo pensiero e della sua poesia, come possiamo vedere tanto negli scritti dello Zibaldone che ne L’infinito succitato.
Il concetto di Infinito è la chiave con cui il poeta mette in moto la sua teoria sulla conoscenza, il piacere e la felicità. Quello che affronta, come ci dice Italo Calvino nelle sue Lezioni americane, nella conferenza sull’ Esattezza, è un problema prima che poetico, speculativo e metafisico, da sempre presente nella Storia della Filosofia, che concerne la relazione tra l’ idea di infinito como spazio assoluto e tempo assoluto e la nostra percezione empirica del tempo e dello spazio.
Leopardi parte da un’ idea matematica di spazio e tempo e vi immette dentro l’ “indefinido, impreciso fluttuare delle sensazioni”, per lui, unico elemento poetico imprescindible e unica forma di infinito alla quale si può accedere. Ma, come ancora ci fa notare Calvino. il suo “vago”, il suo ”indefinito” si esprimono con una rigorosa esattezza linguistica e delle immagini, con una cura meticolosa del verso, cosicchè il poeta del vago è allo stesso tempo il poeta dell’estremo rigore. Il binomio leopardiano inseparabile di finito e infinito rimarca la peculiarità bipolare del Romanticismo italiano, impasto di ragione illuminista e sensibilità romantica, per cui il poeta vede il mondo attraverso la sua immaginazione e lo ricrea in versi di grande potenza visuale e nello stesso tempo estrae dalle contingenze sensoriali la trama di relazioni che la ragione può ricavarne, trasformando ogni evento in esemplare e come tale tassello filosofico del suo pensiero.
Da qui nasce la particolare incisività dei suoi versi dove una grande complessità di registri concorre a mantenere l’opposizione e insieme l’integrazione tra gravità di contenuto e leggerezza espressiva.
Per Leopardi la poesia è materiale, fantastica e corporale e in questa dimensione non si spezza mai la raffinata struttura del suo canto, alternando altissime vette liriche e linguaggio basso, forme metriche di rinnovata e costante originalità che risaltano al massimo il livello semantico dei versi. Leopardi per primo accede a quella modernità che poi nel Novecento scardinerà le tradizionali strutture poetiche, sviluppando la sua musicalità al di fuori degli schemi, delle strofe, delle rime predefinite che in lui sopravvivono solo in parte. Nella relazione tra il finito della nostra condizione umana e l’infinito delle nostre aspirazioni, desideri, sogni, il poeta colloca il nostro stato di sofferenza per il limite e insieme la dimensione del piacere, quel “naufragar m’è dolce in questo mare” che chiude il suo Idillio. E questo piacere raffinato e sublime solo è possibile attraverso la poesia lirica che è espressione nobile del cuore dell’uomo, capace non solo di immaginare mondi ma anche di consolarci di fronte alla vacuità e alla precarietà dell’esistenza.
Nel suo L’Infinito Leopardi immette la dimensione della rimembranza (il ricordo) a far da spartiacque tra la presenza del limite (la siepe che dal colle impedisce parzialmente la vista  del paesaggio) e l’immaginazione degli “interminati spazi di là da quella”. I versi accompagnano lo sguardo che osa superare la barriera della siepe attraverso una serie di  enjambements che come estendono l’unità metrica così ne estendono l’unità sintattica e semantica. Il concetto di infinito percepito per mezzo delle coordinate spaziali, provoca una vertigine, un panico timore di fronte all’immensità («ove per poco/ Il cor non si spaura»). Ma il vento, concreto elemento della natura irrompe e fa stormire le piante, riportando il poeta nel paesaggio naturale della collina, nella dimensione della realtà concreta, nella memoria del vissuto cui il pensiero dell’eternità fa da contraltare. E qui in questo naufragio dolce e inaspettato, tra la sofferenza della ragione e il piacere dell’anima, troviamo uno degli ossimori stilistici e concettuali più travolgenti che la poesia italiana abbia prodotto.
Viaggiatore dell’impossibile, Leopardi attraversa le barriere del suo tempo, si fa cantore e interprete anche della nostra modernità.

GIACOMO LEOPARDI, L'infinito, 1819 (Canti , XII). 
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.









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