“L’infinito”
leopardiano, summa poetica del Romanticismo italiano
Giacomo Leopardi. Retrato de Domenico Morelli
Giacomo
Leopardi, considerato il più grande poeta romantico italiano, porta
le caratteristice specifiche del Romanticismo peninsulare al livello
più alto, non solo della poesia ma della riflessione filosofica
nell’ambito della poesía. Quest’anno ricorrono i duecento anni
dalla scrittura de L’Infinito,
il suo Idillio più famoso, dove la sua ispirazione raggiunge
risultati d’ insuperabile bellezza.
Il
Romanticismo si confronta con l’universo finito della nostra realtà
quotidiana ma aspira a superarlo, in una costante tensione verso
l’infinito.
Giacomo
Leopardi pone il concetto di
infinito al
centro del suo pensiero e della sua poesia, come possiamo vedere
tanto negli scritti dello Zibaldone
che ne L’infinito
succitato.
Il
concetto di Infinito
è la chiave con cui il poeta mette in moto la sua teoria sulla
conoscenza, il piacere e la felicità. Quello che affronta, come ci
dice Italo Calvino nelle sue Lezioni
americane, nella
conferenza sull’ Esattezza,
è un problema prima che poetico, speculativo e metafisico, da
sempre presente nella Storia della Filosofia, che concerne la
relazione tra l’ idea di infinito como spazio assoluto e tempo
assoluto e la nostra percezione empirica del tempo e dello spazio.
Leopardi
parte da un’ idea matematica di spazio e tempo e vi immette dentro
l’ “indefinido, impreciso fluttuare delle sensazioni”, per
lui, unico elemento poetico imprescindible e unica forma di infinito
alla quale si può accedere. Ma, come ancora ci fa notare Calvino.
il suo “vago”, il suo ”indefinito” si esprimono con una
rigorosa esattezza linguistica e delle immagini, con una cura
meticolosa del verso, cosicchè il poeta del vago è allo stesso
tempo il poeta dell’estremo rigore. Il binomio leopardiano
inseparabile di finito e infinito rimarca la peculiarità bipolare
del Romanticismo italiano, impasto di ragione illuminista e
sensibilità romantica, per cui il poeta vede il mondo attraverso la
sua immaginazione e lo ricrea in versi di grande potenza visuale e
nello stesso tempo estrae dalle contingenze sensoriali la trama di
relazioni che la ragione può ricavarne, trasformando ogni evento in
esemplare e come tale tassello filosofico del suo pensiero.
Da
qui nasce la particolare incisività dei suoi versi dove una grande
complessità di registri concorre a mantenere l’opposizione e
insieme l’integrazione tra gravità di contenuto e leggerezza
espressiva.
Per
Leopardi la poesia è materiale, fantastica e corporale e in questa
dimensione non si spezza mai la raffinata struttura del suo canto,
alternando altissime vette liriche e linguaggio basso,
forme metriche di rinnovata e costante originalità che risaltano al
massimo il livello semantico dei versi. Leopardi per primo accede a
quella modernità che poi nel Novecento scardinerà le tradizionali
strutture poetiche, sviluppando la sua musicalità al di fuori degli
schemi, delle strofe, delle rime predefinite che in lui sopravvivono
solo in parte. Nella relazione tra il
finito
della nostra condizione umana e l’infinito
delle nostre aspirazioni, desideri, sogni, il poeta colloca il nostro
stato di sofferenza per il limite e insieme la dimensione del
piacere, quel “naufragar
m’è dolce in questo mare”
che chiude il suo Idillio. E questo piacere raffinato e sublime solo
è possibile attraverso la poesia lirica che è espressione nobile
del cuore dell’uomo, capace non solo di immaginare mondi ma anche
di consolarci di fronte alla vacuità e alla precarietà
dell’esistenza.
Nel
suo
L’Infinito Leopardi
immette la dimensione della rimembranza
(il ricordo) a far da spartiacque tra
la
presenza del limite
(la siepe che dal colle impedisce parzialmente la vista del
paesaggio) e l’immaginazione degli “interminati
spazi di là da quella”. I
versi accompagnano lo sguardo che osa superare la barriera della
siepe attraverso una serie di enjambements
che
come estendono l’unità metrica così ne estendono l’unità
sintattica e semantica.
Il concetto di infinito percepito per mezzo delle coordinate
spaziali, provoca una vertigine, un panico timore di fronte
all’immensità («ove
per poco/ Il cor non si spaura»).
Ma il vento, concreto elemento della natura irrompe e fa stormire le
piante, riportando il poeta nel paesaggio naturale della collina,
nella dimensione della realtà concreta, nella memoria del vissuto
cui il pensiero dell’eternità fa da contraltare. E qui in questo
naufragio dolce e inaspettato, tra la sofferenza della ragione e il
piacere dell’anima, troviamo uno degli ossimori stilistici e
concettuali più travolgenti che la poesia italiana abbia prodotto.
Viaggiatore
dell’impossibile, Leopardi attraversa le barriere del suo tempo, si
fa cantore e interprete anche della nostra modernità.
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
No hay comentarios.:
Publicar un comentario