martes, agosto 15, 2006

Tre sguardi sulla città di Buenos Aires
Prof. Adriana Barbano Raineri
Facultad de Lenguas
Universidad Nacional de Córdoba

1. Tre viaggiatori del XIX secolo a Buenos Aires.

Qualsiasi viaggiatore europeo che volesse visitare l’Argentina durante il XIX secolo, per forza doveva arrivare al porto di Buenos Aires attraversando il Rio de la Plata in qualche imbarcazione. La traversata di questo fiume era una delle prime esperienze “americane” impressionanti (certamente dopo la vista dell’oceano Atlantico) che provavano i viaggiatori in questa parte del continente. Appena sbarcati si trovavano davanti ad una città che, almeno in parte, ricordava quelle europee ed ogni nuovo arrivato la vedeva secondo il filtro del proprio sguardo, della propria formazione ed anche dei propri interessi personali.
Per questo è interessante cercare di stabilire un confronto tra gli scritti su questa città di Paolo Mantegazza, il primo antropologo italiano, (Rio de la Plata e Tenerife, anno 1867), quelli di Angelo Comelli, uomo d’affari, (Viaggio all’America del Sud, anno 1877) ed infine quelli lasciati dal giornalista Giuseppe Modrich (Repubblica Argentina, anno 1890). Come si vede questi testi ricoprono un arco di tempo di poco più di vent’anni e li separa circa un decennio. D’altra parte dobbiamo chiarire che la formazione culturale dei tre autori, è completamente diversa.
Abbiamo cercato apposta tre testi quasi della stessa epoca per osservare e confrontare gli scritti di questi viaggiatori così diversi tra loro. La città di Buenos Aires, sebbene nel frattempo sicuramente era cambiata, pensiamo che non avesse subito un mutamento tanto profondo, l’importante in questo caso è analizzare la posizione diversa degli autori: il primo con una solida formazione scientifica, gli altri due semplicemente personalità aperte, disposte ad osservare ‘l’altro’.



1.1. Il viaggio antropologico.

Il viaggio antropologico è un viaggio particolare. Innanzi tutto si compie per svolgere una “ricerca sul campo”, ossia conoscere l’alterità nel luogo fisico dove si sviluppa e soggiornare durante un periodo determinato nel territorio in questione. Non sempre in antropologia si è parlato di viaggio come un vero spostamento, a volte si trattava di un “viaggio” metaforico. Sandra Puccini scrive: “Il viaggio reale (e non quello metaforico o mistico) è per definizione uno spostamento nello spazio: un andare altrove” (1999:21). L’antropologo viaggia per guardare, osservare, comparare, analizzare ciò che vede e questo produce un’esperienza di straniamento voluta e prevista. Deve “vedere da fuori” per osservare non solo “l’altro” ma anche per scoprire e osservare sé stesso e il proprio mondo con le differenze e similitudini che lo avvicinano o allontanano. Il suo sguardo non può essere etnocentrico, deve abituarsi al “diverso”.
La ricerca antropologica come risultato finale del viaggio antropologico si riversa in buona parte nella scrittura, producendo un testo etnografico. Si tratta di un tipo di testo che non si deve interpretare sempre come una comunicazione della realtà oggettiva, ma è la sua espressione linguistica, generalmente impersonale, che dà questa sensazione. Un testo etnografico canonico è scritto in prima persona ma dando un senso di distacco tra l’osservatore e la realtà circondante. In esso si usa il tempo presente, appunto per riflettere quella realtà vissuta, l’esperienza diretta e la contemporaneità degli eventi narrati. Con queste manovre le società studiate vengono poste fuori dal tempo e si presenta il seguente paradosso: il testo si può trasformare in paradigma di una cultura ed il lettore/studioso legge, in un tempo determinato, questo testo scritto in un tempo che è posteriore al momento delle osservazioni. Ossia, siamo in presenza di tre momenti cronologici completamente diversi. L’antropologo nella sua scrittura fissa gli eventi nel suo presente come se la realtà fosse immobile attraverso il tempo, si parla allora di allocronia: ‘l’altro’ è in un altro tempo. L’uso del tempo verbale presente permette di dare coerenza e sincronia ai fenomeni descritti nel testo.

2. Paolo Mantegazza: il medico antropologo.

Paolo Mantegazza, medico di professione e ritenuto il primo antropologo italiano, scrive, tra altri testi: Rio de la Plata e Tenerife, pubblicato nel 1867. Parte del libro è dedicata a narrare i suoi viaggi in Argentina. Riferendosi alla città di Buenos Aires, notiamo la precisione con la quale ci vuol trasmettere tutti i dati possibili rispetto alla sua posizione geografica, al tipo fisico dei suoi abitanti, al loro stato di salute, alla salubrità del luogo, e, quasi come un attuale ecologista, si occupa della qualità dell’acqua del Rio de la Plata e della limpidezza del cielo della città.
Comincia subito col dirci: “Su la riva occidentale del Rio della Plata trovate la regina della Pampa, Buenos Aires [...]”. Prosegue con una breve sintesi storica: la 1ª fondazione, l’abbandono dovuto ai continui attacchi degli indios, la 2ª fondazione e il proseguimento della difesa, l’epoca della colonia, l’anarchia del periodo dell’indipendenza e alla fine l’unione della provincia di Buenos Aires con le altre province argentine. Come abbiamo anticipato, quest’autore ci fa conoscere ad ogni passo le sue opinioni sullo stato sanitario della città e dei suoi abitanti. Riguardo al clima, osserva che è mite, gradevole e l’aria buona, il cielo trasparente, purissimo come l’acqua del fiume. Quest’ultima opinione sorprende un po’ il lettore di oggi. Infatti il Río de la Plata è formato da due grandi fiumi di pianura che lungo i loro percorsi trasportano una quantità notevole di sedimenti che rendono le acque del colore del leone. È difficile immaginare che in quell’epoca fossero diverse. Dobbiamo dire che Mantegazza osserva tutto con occhi meravigliati, entusiasta di ciò che vede, come vero antropologo s’interessa ‘dell’altro’ senza posizioni etnocentriche.
In quanto allo stato della salute degli abitanti, scrive che in genere sono sani ma purtroppo la tubercolosi è una malattia comune, come pure lo sono le affezioni reumatiche, i disturbi al cuore e le malattie nervose.
Sono interessanti i suoi commenti sugli inconvenienti che porta il vento nord quando soffia sulla città. La gente si sente abbattuta, con un malessere fisico generale. Pure la psiche ne è affetta, arrivando non solo ad alterazioni di umore ma anche di comportamento. Questo fenomeno lo nota pure nelle province di Santa Fe, Entre Ríos e Corrientes. Dobbiamo osservare che ancor oggi in buona parte dell’Argentina la sapienza popolare ammonisce: “¡Cuidado con el viento norte!”. È saputo che influisce non solo sulle persone ma anche sul comportamento degli animali. Continuando a scrivere sulla salute dei “porteños” ci fa sapere che a Buenos Aires si trova “un magnifico ospedale italiano” con un numero importante di medici italiani “che onorano la loro patria” nella pratica della professione, eccellendo nella chirurgia. Dice testualmente:

I nostri medici trovano in quel paese una gran parte della popolazione italiana, e specialmente genovese, che simpatizza con essi; e quando hanno operosità e talento, possono aspirare alle posizioni più elevate, favoriti dalle libere istituzioni del paese e dall’ospitalità affettuosissima di quegli abitanti. (p. 48)

Riconosce di essere rimasto poco tempo a Buenos Aires anche se dice di averla visitata in quattro opportunità:

Io vidi Buenos Aires nel 1854, la rividi nel 1858, nel 1861 e nel 1863, ed ebbi grande fatica a riconoscere la stessa città; di tanto si era avanzata nel suo sviluppo. Noi che siamo abituati a trovare allo stesso posto le stesse cose, e che invecchiamo, vedendo le stesse rovine sospese su gli stessi precipizii, le stesse ragnatele pendenti dagli stessi archi, abbiamo gran pena a tener dietro alle trasformazioni incessanti per le quali le giovani società americane si plasmano e si organizzano. (p. 49)

Ritiene che le città argentine siano più europee che americane, come “innesti del nostro vecchio continente sul giovane emisfero [...]” (p. 49).
L’immigrazione europea va conformando un paese più simile alla vecchia Europa e quest’alluvione di persone è tanto intenso e rapido che non permette che il paese acquisti caratteristiche proprie. Allo stesso tempo fa notare come gli stranieri, in genere, siano ben accolti dalla società argentina.
Possiamo riassumere dicendo che gli scritti di Mantegazza sono il prodotto di un osservatore acuto, che cerca di conoscere il mondo attraverso l’incontro con ‘l’alterità’, con una mentalità aperta e disposto ad accettare le differenze.

3. Angelo Comelli, un uomo d’affari a Buenos Aires.

Angelo Comelli, impiegato del Lanificio Rossi, fu inviato dal presidente della ditta, il senatore Rossi, a Buenos Aires per controllare il deposito della ditta e osservare la regione dal punto di vista commerciale. Il suo è un viaggio di affari, di lavoro e il suo sguardo è appunto quello di un uomo pragmatico che attraverso pochi elementi sa analizzare la situazione economica di un paese. Certamente non possiede una formazione scientifica antropologica, però è molto interessato ad osservare ‘l’altro’.
Di Buenos Aires scrive: “Della città, la prima impressione non è cattiva. Montevideo è più coquette, ma Buenos Ayres più grandiosa e il movimento ne è assai maggiore.” Per il suo lavoro e per il suo interesse in questa città i suoi scritti si riferiscono in gran parte alla attività commerciale che lì si svolge, all’aspetto urbanistico e ad alcune esperienze personali.
Descrive la città indicando che ci sono case “belle e brutte; ad un solo piano e per questo la città è tanto estesa.” Osserva le strade dritte e regolari che purtroppo si inondano quando piove e obbligano i cittadini a sospendere le loro attività. Le piazze sono spesso fiancheggiate da begli edifici e il trasporto pubblico è buono. Comelli è gratamente sorpreso dall’intensa attività commerciale che vi si svolge. Ammira la gran quantità di negozi eleganti dove si può trovare di tutto. Si sorprende al vedere tante gioiellerie, tante quante non ce ne sono a Milano, e specialmente per l’intenso commercio di diamanti. Grande è il numero di magazzini ricolmi di merce di ogni tipo e considera che l’Italia potrebbe vantaggiosamente esportare qui le sue manufatture dovuto all’alto consumo.
Osserva minuziosamente il commercio della lana in tutti i suoi passi, d’altronde questo era il principale motivo del suo viaggio, ed elogia la buona fede e la lealtà dei commercianti.
Tornando alla città di Buenos Aires, scrive che nella calle Florida ci sono i negozi più eleganti dove passeggia una quantità notevole di persone, però critica la strettezza dei marciapiedi che, inoltre, si trovano a circa 40 cm. di altezza rispetto al livello della strada. Questo rende abbastanza difficile il camminare dovuto alla folla, come abbiamo detto, e fatto strano, nota come è mal visto camminare sul selciato dicendo: “vi vien segnati a dito e dichiarati tosto napolitani (che qui sono poco ben veduti); [...].” (p. 24). Nelle strade vede circolare belle carrozze e molti cavalieri ma non eleganti come gli italiani o gli europei. Osserva i numerosi edifici pubblici, la Cattedrale, il porto, le piazze per i mercati.
Come uomo d’affari, gli interessa registrare i prezzi dei generi alimentari, degli indumenti e a quanto ammontano gli affitti e alcuni salari come quelli dei camerieri e dei cuochi.
Cita due sobborghi di Buenos Aires dove si può arrivare con il tram: uno è Belgrano con i villini per passare l’estate, l’altro è la Boca con le sue casette di legno basse dove abitano molti genovesi.
Fa una dettagliata descrizione del teatro Colón, del modo come si distribuisce il pubblico all’interno e registra il prezzo delle entrate.
Trascorre il Natale in questa città e qui le differenze sono notevoli rispetto alle abitudini milanesi. È colpito, ad esempio dall’alta temperatura, e, come bravo milanese, sente la mancanza del panettone. Lo sorprende la scarsa importanza che gli argentini danno a questa festa e persino nota una certa incredibile noncuranza da parte dei preti.
Si mostra molto favorevole all’emigrazione, ritenendola economicamente proficua tanto per gli emigranti quanto per le nazioni coinvolte nel fenomeno. Scrive:

Buenos Ayres e tutta l’Argentina è un paese indicato per eccellenza all’emigrazione; è un vasto campo aperto tanto agli agricoltori che agli artigiani e ai commercianti. Non è vero quello che si dice da taluni che non sia più il paese d’una volta e che un emigrante non vi trovi più il modo di crearsi una fortuna; io ritengo che la facilità di farvi una posizione non è punto minore che nei tempi addietro. Havvi un terreno vastissimo e fertilissimo da dissodare, dove c’è posto ancora per vari milioni di abitanti, e dove colla nuova popolazione dovrebbero necessariamente svilupparsi i commerci e le industrie occorrenti per alimentarla e vestirla. (p. 36)

Rivolge una severa critica al governo perchè non si occupa di proteggere i coloni immigrati dalle scorribande degli indiani. Per questa ragione i contadini non azzardano ad allontanarsi tanto dalle città, lasciando così grandi estensioni di terra senza coltivare.
Le sue impressioni sulla città, come abbiamo già detto prima in qualche modo, sono, fondamentalmente, quelle di un uomo di affari.

4. Giuseppe Modrich: un giornalista alla scoperta di Buenos Aires.

In poche pagine quest’autore, un giornalista in viaggio per l’Argentina, desidera comunicare ai suoi lettori semplicemente le impressioni da lui ricevute al conoscere questo territorio. Non pretende scrivere un libro scientifico, nè storico, nè economico su questo paese, lui è soltanto un giornalista e come tale desidera comunicare ciò che vede, ciò che lo colpisce. Chiaramente il suo non è un viaggio antropologico.
Il suo sguardo sulla città di Buenos Aires in parte di avvicina a quello di Comelli e in parte si allontana. In nessun momento ci ricorda gli scritti di Mantegazza.
Modrich descrive l’aspetto edilizio della città ma soprattutto rimane colpito dal suo intenso movimento commerciale, dalla sua attività febbrile.
Rispetto agli edifici rimane un po’ deluso al notare che quasi tutte le costruzioni sono ad un solo piano: niente in comune con le grandi città europee. Questo la rende enormemente estesa e risulta un po’ difficile determinare quale sia il suo vero “centro”. Ma ció che più lo impressiona è il movimento dovuto al fervere del lavoro: il traffico delle strade e quello del porto, specialmente alla Boca. Qui, ci dice, si vedono navi di tutte le dimensioni e di tutte le bandiere del mondo ed è ancora più impressionante pensare che la maggior parte delle navi non si vedono perchè non possono ormeggiare, devono rimanere ancorate al largo, fuori dal porto per la scarsa profondità del fiume. I passeggeri in questi casi devono passare dalle navi ai vaporetti e a volte a barche più piccole.
I diversi sobborghi di Buenos Aires, appunto dovuto alla sua estensione sono uniti da una linea ferroviaria percorsa come minimo da una cinquantina di treni al giorno.
Modrich come Comelli descrive i marciapiedi e tutti e due coincidono nelle loro opinioni, sono troppo stretti: “talvolta non si può passeggiare in due, impossibile.” (p.43) Il problema è dovuto al fatto che Buenos Aires in quel momento possiede 600.000 abitanti e non è fondamentalmente mutata da quando ne aveva 10.000.
I servizi pubblici lo sorprendono molto, tanto per la qualità degli stessi quanto per la quantità degli utenti: la luce elettrica, il telefono, il telegrafo, sono alla portata di mano di tutti i cittadini.

Un altro spettacolo vi si presenta, se alzate gli occhi. Centinaia e centinaia di fili, fasci interi, reti fittissime attraversano tutta la città, al disopra delle case. Sono i fili del telegrafo, del telefono, della luce elettrica. [...] (p. 43)
C’è una linea telefonica tra Buenos Aires e Montevideo, nonchè tra Buenos Aires e la nuova città La Plata, ad ottanta chilometri di distanza. Le compagnie che ne hanno la concessione, dànno dividendi brillanti. (Ibidem)

Dice che a Buenos Aires ci sono più abbonati al servizio telefonico che in qualsiasi altra città al mondo. Il giornalista è attratto particolarmente dalla tecnologia moderna del momento ed insiste, logicamente, sui mezzi di comunicazione. Scrive che c’è un cavo sottomarino che unisce l’Argentina con l’Europa ed è continuamente in attività. Sebbene il suo uso sia caro, bisogna aspettare circa due ore affinchè arrivi il proprio turno per inviare i messaggi. Leggiamo questo suo interesse per la modernità e le comunicazioni:

In generale, in fatto di innovazioni moderne e di comunicazioni, resta ben poco a desiderare. Da Buenos Aires partono tutti i giorni parecchi treni ferroviarî per l’interno, e ne arrivano parecchi; per e da Montevideo, ci sono linee regolari quotidiane; tutti i giorni arrivano piroscafi d’oltremàre, e ne partono tutti i giorni. Cosicchè in qualunque giorno voi impostate una lettera per l’Europa, siete sicuro che parte lo stesso giorno. (p. 43)

Torna a descrivere la città e torna ad impressionarsi per le sue dimensioni: “è addirittura una città-colosso, una città-gigante.” Ha una superficie di 125 chilometri quadrati senza contare i caseggiati più lontani. Allo stesso tempo, come abbiamo già accennato prima, lo delude la pianificazione della città, la regolarità del tracciato delle strade: un’enorme scacchiera monotona, appena interrotta qua e là da qualche piazza, parco pubblico o giardino. Lo stupisce vedere l’alternarsi, però, ogni tanto, di diversi tipi di costruzioni: dalle case di legno su palafitte alla Boca, a capanne e tuguri accanto alle case del centro ed infine ricchi palazzi privati, superbi, che suggeriscono ancora più sfarzo all’interno. Nelle zone più tranquille della città sorgono ville private in mezzo a giardini e parchi, appartenenti ai milionari “che qui abbondano più che in qualsiasi paese d’Europa.” (p. 45)
Come avevamo già letto negli scritti di Comelli, Modrich commenta i contrasti edilizi di calle Florida: accanto a palazzi di milionari ci sono “bottegucce insignificanti”, in una baracca funziona un negozio modesto, ma è una gioielleria... Si stupisce al vedere scuole che “sono palazzi fin troppo lussuriosi” (p. 46) perchè il governo ha investito centinaia di milioni per la pubblica istruzione. Ritiene che gli scolari poveri devono provare un certo senso di dispetto e rabbia al dover ritornare alle loro umili case dopo le ore di lezione trascorse in un ambiente tanto lussuoso.
Il giornalista è impressionato dalla bellezza, in genere, dei negozi e dei magazzini delle vie principali, come pure era rimasto meravigliato Comelli. Negozi pieni di merci eleganti, preziose e lussuose.
Tutto ciò che una donnina capricciosa e milionaria può desiderare, o sognare, trova da comperare in quei negozi – tutto! Dalla carrozza di diecimila franchi, alla celebre camera da letto ammirata all’Esposizione di Parigi e valutata cinquanta mila franchi; [...]. (p.46-47)

Fa notare come gli argentini ci tengano ad arredare le loro case con tappeti, mobili preziosi ed elementi per l’arredamente di buon gusto ed alto prezzo.
Di sera c’è una gran profusione di illuminazione elettrica nelle strade e in certi parchi privati. Tale è lo sfolgorio e tale è la bella società che esce a passeggiare e a farsi ammirare che “vi sembra di essere piombato sul boulevard di Parigi...” (p. 48). Con questo dettaglio ed altri riferiti alla vita quotidiana di Buenos Aires, cerca di spiegarci perchè per vivere in questa città si spenda tanto denaro. In realtà il costo della vita non è alto, ce n’è per tutte le tasche, ma il modo di vivere tipico del ‘porteño’ porta a forti spese, diremmo allo sperpero di denaro, tante sono le cose che si possono comprare. “È il comfort, è il lusso, è la ricercatezza che vi alleggeriscono il portamonete” (p. 49). L’idea di economizzare risulta ridicola in questa società.
In brevi parole queste sono le impressioni che un giornalista del XIX secolo riceve dalla sua visita alla città e le comunica ai suoi lettori. Come lui stesso riconosce non pretende di offrire un libro di carattere scientifico, ma semplicemente illustrare il suo pubblico.

5. Conclusioni.

Durante il XIX secolo moltissimi furono i viaggiatori che impegnarono anni della loro vita per trasferirsi in terre lontane: “[...] il senso simbolico di un ritorno a tempi lontani: si va fuori, oltre ed indietro. Verso una natura selvaggia; e dunque primigenia; verso un’umanità primitiva, e dunque arcaica.” (Puccini, 1999:22).
Certamente non tutti i viaggi andavano “verso una natura selvaggia”, i viaggiatori citati precedentemente e tanti altri che si sono protratti fino alle città latinoamericane, semplicemente cercavano il ‘diverso’, non la ‘natura selvaggia’. Nemmeno tutti i viaggiatori dell’epoca avevano una formazione antropologica o scientifica, i motivi dei loro spostamenti erano variati.
Nel presente lavoro abbiamo ripassato la visione antropologica di Mantegazza, il suo interesse per la salute degli abitanti di Buenos Aires, la salubrità delle acque, dell’aria, le caratteristiche fisiche dei ‘porteños’. Infatti leggiamo in Puccini (1999:38) citando Stocking, 1988a:8): “L’antropologia ottocentesca è così, innanzitutto, studio dei caratteri razziali degli uomini.” Dopo abbiamo analizzato brevemente la visione di un uomo d’affari, Comelli, stupito dalla febbrile attività e per finire abbiamo letto le opinioni di un giornalista, Modrich, affascinato dai mezzi di comunicazione e dalla ricchezza della città.
In ogni caso abbiamo cercato di riprodurre le impressioni più forti che questi autori hanno ricevuto durante il loro soggiorno a Buenos Aires.




BIBLIOGRAFIA.

COMELLI, Angelo. 1877. Viaggio all’America del Sud. Tipografia del giornale “Il Sole”. Milano, pp. 22-38.
FABIETTI, Ugo. “Il viaggio dell’antropologo” in: Il viaggio e la scrittura, a cura di NEROZZI BELLMAN, Patrizia e MATERA, Vincenzo. 2001. Editore L’ancora del Mediterraneo, pp.35-44.
MANTEGAZZA, Paolo. 1990; (1867). Rio de la Plata e Tenerife. Messaggerie Pontremolesi. Milano, pp. 44-50.
MODRICH, Giuseppe. 1890. Repubblica Argentina. Libreria editrice Galli. Milano, pp. 41-55.PUCCINI, Sandra. 1999. Andare lontano. Carocci editore. Roma, pp.17-42.

1 comentario:

Anónimo dijo...

leggere l'intero blog, pretty good